David Goldberg aveva nostalgia della sua terra: voleva
risentire i suoni della lingua madre, rileggere i giornali tedeschi,
contemplare di nuovo gli amati monti del Taunus. Costretto a lasciare la Germania per salvare la
pelle nel 1945, dopo sessant'anni trascorsi negli Stati Uniti, a novantadue
anni è tornato nel suo paese. Un ritorno fatale. Poiché David Josua Goldberg,
esponente di spicco della comunità ebraica americana, uomo influente che si è
prodigato per ripristinare i rapporti tra la Bundesrepublik e
Israele dopo la guerra, è stato ritrovato cadavere nel suo appartamento di
Kelkheim. L'hanno scoperto inginocchiato sul lucido pavimento di marmo del
corridoio, a neanche tre metri dalla porta d'ingresso. La parte superiore del
corpo rovesciata in avanti, la testa in una pozza di sangue. Sangue e cervello
schizzati tutt'intorno: sulla tappezzeria di seta, sulla porta, sui quadri e
sul grande specchio veneziano posto all'ingresso. Una scena del crimine
familiare per il commissario capo Oliver von Bodenstein e per la sua collega
Pia Kirchhoff. Il proiettile che ha trapassato la testa del vecchio, un
proiettile di grosso calibro, procura, infatti, questi danni. Decisamente meno
familiari sono, però, le cifre che i due investigatori scoprono tracciate col
sangue sullo specchio: 1-6-1-4-5. È sconcertante un elemento che l'autopsia
rivela: sul lato interno del braccio sinistro, venti centimetri sopra il gomito,
Goldberg presenta il tatuaggio tipico delle SS.
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