mercoledì 28 febbraio 2018

Nome d'arte Doris Brilli. I casi del maresciallo Ernesto Maccadò di Andrea Vitali (Garzanti Libri)



Con Nome d’arte Doris Brilli, Andrea Vitali inaugura una serie di romanzi che hanno per protagonista uno dei personaggi più amati dal pubblico dei suoi lettori, il maresciallo Ernesto Maccadò. La notte del 6 maggio 1928, i carabinieri di Porta Ticinese a Milano fermano due persone per schiamazzi notturni e rissa. Uno è un trentacinquenne, studente universitario provvisto di tesserino da giornalista. Interrogato, snocciola una lista di conoscenze che arriva fino al direttore del «Popolo d’Italia», quel Mussolini fratello di…, per accreditare la sua versione, ovvero che è stato fatto oggetto di adescamento indesiderato. L’altra è una bella ragazza che, naturalmente, sostiene il contrario. Ma amicizie per farsi rispettare non ne ha, e soprattutto non ha con sé i documenti, per cui devono crederle sulla parola circa l’identità e la provenienza: Desolina Berilli, in arte, essendo cantante e ballerina, Doris Brilli, di Bellano. E dunque, la mattina dopo, la ragazza viene scortata al paese natio. Che se ne occupi il nuovo comandante, tale Ernesto Maccadò, giovane maresciallo di origini calabresi giunto sulle sponde del lago di Como da pochi mesi. E lui, il Maccadò, turbato per il clima infausto che ha spento l’allegria sul volto della fresca sposa Maristella, coglie al volo l’occasione per fare il suo mestiere, ignaro delle complicazioni e delle implicazioni che il caso Doris Brilli è potenzialmente in grado di scatenare. Con Nome d’arte Doris Brilli, Andrea Vitali inaugura una serie di romanzi che hanno per protagonista uno dei personaggi più amati dal pubblico dei suoi lettori, il maresciallo Ernesto Maccadò, presente nelle storie di maggior successo come La signorina Tecla Manzi, Olive comprese, La mamma del sole, Galeotto fu il collier, Quattro sberle benedette, Le belle Cece, A cantare fu il cane, raccontando i suoi esordi alla caserma di Bellano, e il suo faticoso acclimatarsi, non solo per via del tempo meteorologico.

Dormi per sempre di Sabine Thiesler Corbaccio 360p

L'editore e Franz Kafka

martedì 27 febbraio 2018

Il mio inganno - Luana Ballarò - booktrailer

Il fondo della bottiglia di Georges Simenon. Traduttore: F. Scala (Adelphi)



«In fondo P.M. non conosceva per niente il fratello. A parte qualche vago ricordo d’infanzia, lo conosceva meno di un estraneo appena incontrato. A Emily Donald chiedeva regolarmente soldi, no| Nelle sue tasche dovevano essere finiti tutti i risparmi della sorella. Di sicuro la impietosiva con qualche frase ben congegnata, le parlava di Mildred, dei bambini. Probabilmente aveva provato a batter cassa anche dal padre. «Quelli come lui, che parlano con compiacimento della propria sfortuna e della propria onestà, credono che tutto gli sia dovuto».

Accade molto di rado che Simenon segnali che i personaggi e gli eventi da lui narrati sono «puramente immaginari e privi di qualsiasi riferimento a persone viventi o defunte». Per capire come mai in questo caso ne abbia sentito il bisogno occorre tornare al 1945, quando al fratello Christian, condannato a morte in contumacia per aver coadiuvato le SS in una spedizione punitiva che aveva fatto ventisette vittime, Georges aveva consigliato di arruolarsi nella Legione straniera: un modo per scomparire, certo, e per riscattarsi – ma anche, cambiando cognome, per non compromettere lo scrittore ormai celebre con una parentela imbarazzante. «È colpa tua! Lo hai ucciso tu!» si sentì rinfacciare dalla madre allorché, ai primi di gennaio del 1948, lo stesso Georges le comunicò la morte, nel Tonchino, del figlio preferito. Nei mesi immediatamente successivi, quasi volesse espellere i propri fantasmi, Simenon scrisse due dei suoi romanzi più neri e potenti: La neve era sporca e Il fondo della bottiglia. In quest'ultimo, uno stimabile avvocato, che è riuscito, partendo dal basso, a conquistarsi un posto nella ristretta comunità dei notabili di Nogales, al confine tra gli Stati Uniti e il Messico, vede vacillare tutte le sue certezze quando gli compare davanti, evaso dal carcere in cui scontava una condanna per il tentato omicidio di un poliziotto, il fratello minore – quello debole, irresponsabile, sfortunato, eppure dotato di un inquietante potere di seduzione –, che gli chiede di aiutarlo a passare la frontiera. Nel piccolo mondo costituito dai ricchi proprietari dei ranch l'arrivo dell'estraneo scatena una sorta di psicodramma, che culminerà in una vera e propria caccia all'uomo, mentre, fra odio e amore, rancori e sensi di colpa, sbronze e scazzottate, si consuma la resa dei conti tra i due fratelli.

L'editore e l' #nonso

lunedì 26 febbraio 2018

L'editore visto nel suo tracciato biografico da Chiara Evangelista

Lettere da una Taranta di Raffaele Gorgoni ospiti della Società Dante Alighieri di Brindisi






















La Società Dante Alighieri organizza la presentazione del volume Lettere da una Taranta di Raffaele Gorgoni ( I Quaderni del Bardo Edizioni di Stefano Donno) presso il Wine Bar Susumaniello Via Tarantafilo, 19 Brindisi. La data è Martedì 27 febbraio 2018 e si comincia alle ore 18,00
Dialoga con l’autore l’editore Stefano Donno
Originalissimo il testo in cui dopo tante pizziche e notti melpignanesi è proprio la tanto " bistrattata, odiata e amata, adulata e disprezzata, incensata e criticata, vezzeggiata e maltrattata" Taranta ad esserne la protagonista. È proprio lei la Lycosa Tarantola ad infrangere il velo di omertà e dire tutto quello che pensa del Salento, dei politici, della notte della Taranta e delle tarantate. E lo fa scrivendo delle lettere ad un essere umano di cui probabilmente non conosce neanche il nome, ma che è l'interlocutore più adatto ad accogliere le sue opinioni e i suoi sfoghi confidenziali, finalmente libera dalle catene di tradizioni e grottesche maldicenze.Le lettere sono precedute da uno sfogo vocale che l'autore traspone in dialetto e poi parte il racconto storico che non lascia spazio alla noia. Tutto è condotto con accuratezza di dettagli e con grande semplicità, catturando il lettore ansioso di scoprire aneddoti ed episodi storici, e quasi “mitologici” un po' forse dimenticati che si sono succeduti negli stessi vent'anni della notte melpignanese e che riaffiorano nella memoria con grande godimento.
Il contenuto all'interno delle lettere è quasi sfacciato, perché la Taranta si toglie finalmente tanti" sassolini nelle scarpe" (proprio come il titolo della collana editoriale diretta dallo stesso Gorgoni) rivelando cose viste entrando in quei luoghi dove gli umani non avevano accesso. Lo sfogo di una taranta non può certo incorrere in accuse partitiche e per questa sua immunità è libera di raccontarci fatti ai più sconosciuti. Dalle prime forme di tarantismo alla sua quasi sparizione con le prime emigrazioni verso il nord anche da parte delle donne,con le assunzioni nelle fabbriche quando il morso che provocava convulsioni sincopate viene sostituito dal valium o da una seduta dal parrucchiere. La scrittura ha il ritmo sincopato del tamburello ancestrale, e chi legge è preso nel vortice delle notizie e degli episodi raccontati. Parallelamente ai vent'anni della notte della Taranta nulla viene dimenticato. La politica con eventi non sempre edificabili, gli antropologi, gli scienziati, gli anni cinquanta, la televisione, il muro di Berlino, l'Ilva, la democrazia, la prima Repubblica, i vari politici che nel Salento hanno fatto il buono e il cattivo tempo, i flussi migratori e l 'incapacità di trarne beneficio derivante da altre culture. Non vengono tralasciati neanche Ovidio e le sue Metamorfosi, Plutarco, l'Odissea , l'Iliade e Dante. La Taranta nelle sue lettere non dimentica di criticare personaggi che si sono mossi nell'ambito della kermesse di Melpignano, ma fa anche tanti elogi a chi aveva capito sin dall' inizio il senso vero di quella manifestazione. Chi pensava, avendo in mano il libro, di trovarsi dinanzi ad una favola moderna avrà la piacevole sorpresa, leggendolo, di avere in mano un pezzo di storia ironicamente descritta dall'autore con la sua solita penna insolente.

iQdB edizioni di Stefano Donno (i Quaderni del Bardo Edizioni di Stefano Donno
Sede Legale e Redazione: Via S. Simone 74 - 73107 Sannicola (LE)
Redazione - Mauro Marino
Segreteria Organizzativa – Dott.ssa Emanuela Boccassini


Public Relations – Raffaele Santoro
Social Media Communications - Anastasia Leo, Ludovica Leo

Vita privata di una sconosciuta

Nalini Singh, IL PROFUMO DEL SANGUE 360p

giovedì 22 febbraio 2018

L'editore si incazza

"Lampi di verità" di Donato Di Poce ( I Quaderni del Bardo Edizioni di Stefano Donno) in Tour nel Salento























23 febbraio 2018 ore 18:30, Libreria Volta la Carta, Calimera, Le, via Costantinopoli 35
Dialogheranno con l'autore: Nicola Vacca (direttore collana "Z"), Stefano Donno (editore), Alessandro Vergari (autore della prefazione a Lampi di verità), Francesco Aprile (Utsanga.it), Giovanna Rosato (Biblioteca Gino Rizzo di Cavallino). L'incontro di Calimera  è promosso da Utsanga.it e Giovanna Rosato (Biblioteca Gino Rizzo, Cavallino, Le) in collaborazione con iQdB Edizioni e Libreria Volta la Carta.
24 febbraio 2018 ore 19,30, Fondo Verri, Lecce, via Santa Maria del  Paradiso, Lecce
Dialogheranno con l'autore: Nicola Vacca (direttore collana "Z"), Stefano Donno (editore), Alessandro Vergari (autore della prefazione a Lampi di verità), Grazia Piscopo (Presidente Associazione Thorah) Mauro Marino (Fondo Verri di Lecce) . L'incontro di Lecce è promosso da  Fondo Verri,  Associazione Thorah

Donato Di Poce, (Nato a Sora - FR - nel 1958 ma residente dal 1982 a Milano ). Poeta, Critico d’Arte, Scrittore di Aforismi, Fotografo. Artista poliedrico ed ironico ma dotato di grande umanità, si è imposto all’attenzione del pubblico e della critica con la pubblicazione di una collana di 5 portfolio dal titolo: TACCUINO BERLINESE -East Side Gallery , Félix Fénéon Edizioni, Ruvo di Puglia (BA), 2009 dedicata al muro di Berlino. In un suo celebre aforisma ha scritto: “Il Poeta vede l'invisibile/Il Fotografo fornisce le prove”.

Nicola Vacca - è nato a Gioia del Colle, nel 1963, laureato in giurisprudenza. È scrittore, opinionista, critico letterario, collabora alle pagine culturali di quotidiani e riviste. È redattore della rivista «Satisfiction». Ha pubblicato: Nel bene e nel male (1994), Frutto della passione (2000), La grazia di un pensiero (2002), Serena musica segreta (2003), Civiltà delle anime (2004), Incursioni nell’apparenza (2006), Ti ho dato tutte le stagioni (2007), Frecce e pugnali (2008), Esperienza degli affanni (2009), con Carlo Gambescia il pamphlet A destra per caso (2010), Serena felicità nell’istante (2010), Almeno un grammo di salvezza (2011), Mattanza dell’incanto (2013), Sguardi dal Novecento (2014), Luce nera (2015), Vite colme di versi. Ventidue poeti dal Novecento (2016), Commedia ubriaca (2017).

Il Cane. Una storia sociale dall'Antichità al Medioevo di Marco Iuffrida. In libreria per Odoya dal 1 marzo 2018



“Poiché il cane è, fra gli animali, l’aiuto più veloce per i falchi che predano e dal momento che una sola tipologia di cani è più veloce di tutte le altre – il levriero o il veltro – conviene che il cane da supporto al rapace sia di questo tipo”. Scriveva Federico II di Svevia nel suo trattatello De Arte venandi cum avibus intorno al 1260. Ma le nobili frequentazioni dei nostri amici a quattro zampe sono iniziate ben prima. Basti pensare che in una tomba datata 2650 a.C., rinvenuta in quel di Matelica, si è trovato il cane levrieroide del defunto seppellito come ausilio, anche nell’aldilà, per l’inseparabile padrone. Non è forse vero che Anubi, nell’antico Egitto, già benediceva gli iniziati con le sue fattezze per metà canine? Marco Iuffrida, forte della sua conoscenza dei testi antichi/medievali, acquisita anche alla Biblioteca Apostolica Vaticana, dedica questo svelto e dotto trattato alle origini di un rapporto che rimane da secoli invariato. L’utilitarismo che legava uomo e cane quando nelle corti la caccia era uno dei passatempi preferiti non impediva di aggiungere altre connotazioni alla frequentazione dell’animale. Carlo Magno era un fiero possessore di cani e vietò ai chierici di possederne in quanto riteneva che la vicinanza con l’animale fosse un lusso e una distrazione che non si addiceva agli uomini di Dio. Si pensi poi agli Scaligeri, così affezionati all’idea di forza e alle capacità intrinseche canine per fare un altro esempio era molto apprezzata la capacità di cacciare i lupi che vollero attribuire ai capi casata i noti nomi di Cangrande, Mastino, Cansignorio. Non erano da meno i Gonzaga, nella cui Camera degli sposi campeggiano i cani di Ludovico III, dipinti dal Mantegna. E se la tassonomia delle varie tipologie di cani da caccia aiutava a scegliere falconieri e cacciatori da epoche più remote, Michelangelo Biondo, nel  1544 (nel De canibus e Venatione Libellus) canonizza un altro canide che ben conosciamo: “Il cagnetto di lusso (De caniculo delicioso): piccolo, della lunghezza di un piede o mezzo; quando è cresciuto è più gradito se è della dimensione di un topo”.

Marco Iuffrida, storico, dottore di ricerca in Storia medievale, specializzato in biblioteconomia alla Biblioteca Apostolica Vaticana, studia da anni la storia sociale. Collabora con varie riviste e partecipa attivamente al dibattito internazionale. Diverse le sue pubblicazioni d’ambito medievistico; sul tema della simbologia animale ha scritto il saggio Cani e uomini. Una relazione nella letteratura italiana del Medioevo (2016). È inoltre l’autore del romanzo storico InChiostro (2017).