Francesca Palumbo partiva avvantaggiata, lei gli studenti li
conosce bene, insegnando.
Ma il vantaggio poteva ribaltarsi facilmente, perché non
sempre è facile tradurre in un romanzo il mondo scolastico.
Francesca Palumbo invece c’è riuscita e il suo “Il tempo che
ci vuole” (Besa) è un romanzo che coinvolge e colpisce, perchè riesce a tratteggiare
storie contemporanee, immaginate, ma reali, che ci costringono a riflettere sul
vuoto esistenziale che provoca la nostra mancanza di tempo, attenzione,
partecipazione.
La crisi della studentessa protagonista, il difficile
dialogo che prova a imbastire con l’insegnante, le pareti quasi isolate
acusticamente di genitori distanti e chiusi ossessivamente nei loro fallimenti,
l’amore che si spezza in nome dell’egoismo edonista, ci fanno immergere in una
storia italiana dove protagoniste sono la scuola e la famiglia. Diversa la
scuola da come possiamo immaginarcela, se tanti anni fa ci siamo lasciati alle
spalle il suono della campanella.
L’impegno e la partecipazione sono un quadro ingiallito,
l’urlo muto della solitudine dei giovani è una richiesta di aiuto troppo spesso
inascoltata. La famiglia è una stazione di passaggio, non delle diligenze di un
tempo, ma di noi tarscinati dal nocchiero moderno, il tempo accelerato, sovrano
dispotico delel nostre vite, che ci costringe a correre sempre più velocemente,
rinunciando all’ascolto, alla parola, all’abbraccio, impossibile senza una
sosta. Il diverso, che vive di lentezza e sguardo lungo, riuscirà a
deviare l’epilogo violento. “Il tempo che ci vuole” (Besa) crediamo che sia il
romanzo giusto per iniziare la scuola, per genitori e studenti. Un libro letto
e consigliato dai “viziati”.
Merita le tre penne di Billy
Info:
Monica Dionubile ha quasi diciassette anni, vive a Bari
insieme a sua madre Laura che è malata di depressione e passa la sua vita a
tormentare la figlia. Dunia Bonerba è figlia unica di Luca e Marina; i suoi
genitori sono una coppia serena che regala sensibilità e spensieratezza a una
ragazzina semplice, a tratti ingenua e molto legata a Monica, sua compagna di
classe. Le due ragazze si completano a vicenda: la leggerezza di una si unisce
alla complessità dell’altra, è come se tra di loro ci fosse un accordo di
“mutuo soccorso” di cui, in realtà, è solamente la giovane Dionubile ad aver
bisogno. Lei è così intristita e poco interessata alla sua vita da vivere alla
giornata. È così profondamente sola e disillusa che anche l’avvenimento di
aspettare un bambino, naturalmente non desiderato, è affrontato nella più
completa apatia. Il ginecologo che segue distrattamen te l’aborto è Carlo,
marito di Giulia, amico di vecchia data di Luca e Marina, che racconta all’uomo
di avere l’ennesima relazione extraconiugale. La donna per la quale ha perso la
testa si chiama Roberta Mori ed è la psicanalista che ha in cura la madre di
Monica. In questo disfacimento quasi totale, il porto franco di Monica è la
casa di Dunia, dove ha la possibilità di conoscere suo nonno che, molto malato,
ogni volta che la vede la scambia per la sua amata moglie Ornella oramai morta
da tempo. C’è poi il rapporto speciale con il suo professore di lettere,
Girardi, un docente atipico che ascolta i suoi alunni, li osserva e non si
limita a etichettarli con un numero sul registro o un cognome da ricordare al
momento dell’interrogazione.
Testimone oculare delle storie di ognuno di questi
personaggi è il barbone Lacca, un tenero clochard che costruisce piccoli
portacenere colorati in latta e che ha un ruolo determinante nel destino di
Dunia e Monica.
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