mercoledì 21 novembre 2012

Recensione di Alessandra Peluso su Di tutte le ricchezze di Stefano Benni (Feltrinelli)



«E così siamo rimasti soli, amabile lettrice, caro lettore. (...) Ci guardiamo attraverso questo strano specchio che è un libro». (p. 206) Mi rifletto nello specchio della solitudine della mia stanza, dove a farmi compagnia, è il cinguettio di uccelli che sembrano non stancarsi mai, loro sono in compagnia e cantano ad unisono una melodia armoniosa.
Così mi ritrovo a condividere la solitudine ed altri stati d’animo che aleggiano imperiosi nel libro di Stefano Benni, Di tutte le ricchezze. Emozionata e coinvolta - come senz’altro accadrà ad ogni lettore - dal principio, dove l’autore esordisce scrivendo i versi di un poeta molto caro al protagonista del racconto, Martin: «La soltudine sta ai vecchi / Come un vecchio vestito / E nelle tasche tintinnano / I sogni che più non spendono ... », (p. 13) sino alla conclusione in cui il protagonista, o chissà l’autore, si presenta con garbo e cordialità, vivendo un presente insolito, frizzante, brioso, e anche un pò grottesco, ed un passato nostalgico e colmo di rimpianti.
Narra Stefano Benni il sentimento dell’amore di Martin, un sentimento vissuto e rivissuto che regala puntualmente rimpianti, rimorsi, dolore con una felicità che vorresti fosse eterna, ma che non dura più di pochi istanti. Sensazioni, emozioni traboccano soprattutto nell’innamoramento descritto con abile maestria da Benni, tra il protagonista e la sua giovane e bella vicina di casa (che mi ha commosso come un adolescente al primo amore, coinvolgendomi sino alla fine della storia), e la tormentata nostalgia per la giovinezza ormai fuggita e la solitudine dei settant’anni  voluta, cercata, imposta, costretta e subita per alcuni versi.
È complicato parlare d’amore, tutte le forze centrifughe si mescolano: emozioni, pulsioni, fantasmi, desideri, ragioni, repressioni, rimpianti. Come scriveva Rilke nella Lettera a un giovane poeta, l’amore è la prova più difficile che ognuno di noi affronta nella vita, e lo sa bene l’autore che lo racconta e lo fa vivere ad ogni lettore tra magia, incanto e disincantata quantomai ingiusta realtà.     
Straordinario poeta e scrittore, Stefano Benni, e si nota a chiare lettere la maestria di scrittore, l’innata sensibilità di poeta e il talento portentoso di giornalista in descrizioni attente e puntuali. Si alternano i dialoghi ironici e pungenti con personaggi del passato di Martin, come il collega professore, Remorus, i dialoghi col figlio lontano tra missive e telefonate e le spassosissime conversazioni con gli animali del bosco. Sembra di vivere nel mondo di Fedro e le sue favole.
Appassiona e coinvolge Di tutte le ricchezze, e potrebbe diventare una trama di un film incantevole, se qualche regista volesse, a mio avviso, riempirebbe le sale.
Non è opportuno raccontare tutto, ma dopo aver letto il libro verrebbe spontaneo farlo, le emozioni in scrittura fuoriescono come lava incandescente. Così la passione, il fuoco raccontato dell’età giovanile, l’entusiasmo, sino a giungere a settant’anni, età che il professore definisce «venerabile quando non è sordida», per poi chiedersi «se possiamo fingere di non avere rimpianti, ritrovandosi così a fare i conti con se stesso». 
Ogni capitolo è introdotto da versi poetici che ammaliano, fanno sognare e riflettere. Le poesie sono di Catena, un misterioso poeta locale morto in un manicomio, che Martin ama e cerca di farne rivivere il talento, segue il racconto solitario interrotto quasi bruscamente da un incontro con dei nuovi vicini di casa: Aldo il Torvo, un pittore senza infamia nè gloria, e la sua compagna, Michele, chiamata dal professore “Principessa del grano” e successivamente “Nasten’ka” e il lettore comprenderà il motivo.
Nulla è lasciato al caso, e la trama si dipana: «si sente in questo momento come se qualcuno avesse tirato una bomba nel suo tranquillo specchio d’acqua ... » e si alternano immagini irriverenti, poetiche, idilliache, ilari quali l’incontro tra Martin e il serpente che lo beffeggia perchè lo vede innamorato, preludendogli una sofferenza, così come il gufo o la capra che incontra nel bosco o il lupo ormai invecchiato e solitario nel qule il professore sembra rispecchiarsi.
«L’amore degli uomini è uno specchio rotto / Che non rimanda più la tua immagine / è come un libro di cui vediamo / La copertina, non più le pagine. / ... / L’amore degli uomini è uno specchio rotto  / Forse è svanito, cerchiamo invano / Lui è sempre lì, al solito posto». (p. 174)
È lo specchio - l’emblema della vita che passa - icona del romanzo, l’identità di ogni uomo che rivede se stesso e a volte non si riconosce come nel romanzo di Pirandello, Uno, nessuno e centomila, dove il personaggio, Vitangelo Moscarda, guardandosi allo specchio prende coscienza di essere altro rispetto a ciò che immaginava e comincia per lui il dramma. Lo specchio può essere un amico fedele ma a volte un abile ingannatore e nello specchio si riflette anche l’immagine di Martin, da giovane, poi da adulto - e nel frattempo - veleggia la solitudine, quella solitudine che compare, con la quale ha inizio e fine il romanzo di Stefano Benni così come la vita di ognuno di noi.
    

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