E’ solo questione di tempo; l’era
del petrolio sta volgendo alla fine e il prezzo dell’oro nero salirà nei
prossimi decenni fino a raggiungere un picco insostenibile. Nel frattempo le
emissioni di anidride carbonica derivanti dalla combustione dei fossili sta
elevando la temperatura della Terra e minacciando un cambiamento nella chimica
e nel clima globale del pianeta che non ha precedenti. Si tratta di fattori che
influenzeranno pesantemente tutte le decisioni politiche ed economiche dei
prossimi cinquanta anni. La questione fondamentale a questo punto è: come far crescere un’economia globale
sostenibile uscendo dal paradigma di un regime energetico giunto ormai al
capolinea, i cui costi esternalizzati, economici e ambientali, sono ormai
inaccettabili? Una risposta a questa
domanda si trova nell’ultimo libro di Jeremy Rifkin, “La terza rivoluzione
industriale”, uscito da poco anche in Italia per le edizioni Mondadori. Un
libro fondamentale, che ho letto con grande interesse e che consiglio vivamente
a tutti coloro che desiderino comprendere cosa ci prospetta il futuro e cosa
stanno facendo i governi mondiali per esplorare nuovi modelli energetici ed
economici che consentano di avvicinarsi il più possibile all’obiettivo
“emissioni zero” di carbonio. Ma Rifkin non si limita a descrivere gli scenari
futuristici dell’energia e dell’ambiente. Egli compie invece un’analisi
approfondita che, partendo dai principali accadimenti storici dell’economia
mondiale, ricostruisce gli stretti rapporti sinergici tra energia e
comunicazione, fino a prefigurare una rete mondiale di distribuzione
intelligente dell’energia basata sul modello rappresentato dal web. Secondo
l’autore, la Terza
Rivoluzione Industriale comincia a spuntare all’orizzonte e
la prima regione al mondo che riuscirà a sfruttare il suo pieno potenziale
guiderà lo sviluppo economico per il resto del secolo. L’Unione Europea, ha
fatto le sue prime mosse, stabilendo che, entro il 2020, il 20% di tutta
l’energia prodotta sarà generata da fonti rinnovabili. Impegnandosi per un
futuro di energia rinnovabile l’UE ha gettato le basi per un’era economica
sostenibile e ad emissioni zero. Non basterà, però. Sarà necessario aggiungere
almeno due pilastri: l’introduzione di tecnologie di idrogeno insieme ad altre
tecnologie quali batterie e ri-pompaggio idrico per immagazzinare le forme
intermittenti di energia rinnovabile; e la creazione di reti energetiche
intelligente di dimensioni continentali ( smart “intergrid” ), per fare sì che
forme distribuite di energia rinnovabile siano prodotte e distribuite con la
stessa facilità di accesso e trasparenza di cui oggi godiamo con la produzione
e l’informazione su internet. Il libro descrive dettagliatamente i punti
fondamentali da realizzare per gettare le fondamenta della Terza Rivoluzione
Industriale e di una nuova era energetica per l’Unione Europea. Per Rifkin sono
addirittura cinque i “Pilastri” complessivi su cui dovrà poggiare questo nuovo
paradigma che è la TRI:
1) la scelta definitiva dell’efficienza energetica e delle fonti rinnovabili;
2) la trasformazione del patrimonio edilizio in impianti di micro-generazione;
3) l’impiego dell’idrogeno e di altre tecnologie di immagazzinamento
dell’energia in ogni edificio; 4) l’unificazione delle reti elettriche dei
cinque continenti in una inter-rete per la condivisione dell’energia; 5) la
riconversione dei mezzi di trasporto, pubblici e privati, in veicoli ibridi
elettrici e con celle a combustibile capaci di utilizzare e produrre energia. La
transizione verso questa nuova era, secondo l’autore, sarà accompagnata anche
da una robusta ripresa occupazionale. Citando i ricercatori dell’Energy and
Resources Group e della Haas School of Business dell’Università di Berkeley,
Rifkin evidenzia come, sulla base delle proiezioni provenienti da numerosi e
approfonditi studi, “abbattendo il tasso annuo di crescita della generazione
elettrica della metà e puntando a una quota del 30% dei consumi energetici da
fonti rinnovabili, negli USA si creerebbero
circa 4 milioni di anni di lavoro entro il 2030. In Germania, nel
2003, vi erano 260.000 occupati nel settore delle energie convenzionali
(carbone, petrolio, gas e uranio), solo quattro anni dopo, nel 2007, il campo
delle energie rinnovabili occupava 249.330 persone. Un dato straordinario,
soprattutto se si pensa che queste ultime coprivano solo il 10% dei consumi
energetici primari. In pratica, una percentuale così bassa di energie
rinnovabili - sottolinea Rifkin - ha
creato tanti posti di lavoro quanto tutte le alte fonti energetiche nel loro
complesso! Ma il caso spagnolo è ancora
più eclatante: l’economia di questo Paese conta più di 188.000 occupati nelle
energie rinnovabili, vale a dire cinque volte i posti di lavoro creati dal
settore energetico convenzionale. E si noti che queste previsioni tengono conto
solo del primo e secondo “pilastro” e sono quindi da considerare approssimate
per difetto. Un messaggio che non dovrebbe restare inascoltato dai governi di
Paesi, come il nostro, alla spasmodica ricerca di nuove prospettive di crescita
e di sviluppo occupazionale. Da noi vi sono regioni (in senso geografico)
ricche di creatività, arte, bellezza, storia e cultura, ma anche di sole, biomasse residuali
dall’agricoltura, di vento. Per loro le
energie rinnovabili distribuite potrebbero essere la chiave per incamminarsi
con decisione sulla strada di un benessere diffuso e rispettoso dell’ambiente,
capace non solo di creare opportunità di lavoro ancora inimmaginabili, ma anche
di favorire la transizione verso una società più giusta, verso modelli culturali
condivisi, più evoluti e consapevoli. E chi ha orecchie per intendere, intenda.
(articolo apparso su Paese Nuovo
del 1 novembre 2012)
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