Il libro più importante
della sua vita, Canetti lo portò sempre dentro di sé ma non lo compose mai. Per
cinquant'anni procrastinò il momento di ordinare in un testo articolato i
numerosissimi appunti che, nel dialogo costante con i contemporanei, con i
grandi del passato e con i propri lutti familiari, andava prendendo giorno dopo
giorno su uno dei temi cardine della sua opera: la battaglia contro la morte,
contro la violenza del potere che afferma se stesso annientando gli altri,
contro Dio che ha inventato la morte, contro l'uomo che uccide e ama la guerra.
Una battaglia che era un costante tentativo di salvare i morti – almeno per
qualche tempo ancora – sotto le ali del ricordo: «noi viviamo davvero dei
morti. Non oso pensare che cosa saremmo senza di loro». Sospeso tra il
desiderio di veder concluso Il libro contro la morte – «È ancora il mio libro
per antonomasia. Riuscirò finalmente a scriverlo tutto d'un fiato?» – e la
certezza che solo i posteri avrebbero potuto intraprendere il compito
ordinatore a lui precluso, Canetti continuò a scrivere fino all'ultimo senza
imprigionare nella griglia prepotente di un sistema i suoi pensieri: frasi
brevi e icastiche, fabulae minimae, satire, invettive e fulminanti paradossi.
Quel compito ordinatore è assolto ora da questo libro, complemento fondamentale
e irrinunciabile di Massa e potere: ricostruito con sapienza filologica su
materiali in gran parte inediti, esso ci restituisce un mosaico prezioso,
collocandosi in posizione eminente fra le maggiori opere di Canetti.
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