Come è possibile che Fritz Lang – autocrate del set,
apologeta della pianificazione produttiva, «teorico» del controllo assoluto –,
che per molte ore prima di girare segnava per terra con dei gessi colorati
tutte le posizioni progressive che gli attori avrebbero dovuto occupare durante
le riprese, dica di sé: «Ho fatto tutti i miei film come un sonnambulo»? E
perché Jean Renoir – devoto all’improvvisazione, disponibile ad «arrendersi»
all’apporto coautoriale fin dell’ultimo componente della troupe – è il più
personale, il più riconoscibile, il più «autore » degli autori francesi? Di lui
si dovrà ben dire, come Polonio di Amleto: «C’è del metodo nella sua follia»;
ma anche di Lang, lo abbiamo visto, occorrerà riconoscere – con una singolare
reversione del dettato shakespeariano – che c’è della follia nel suo metodo.
Sul duplice contrappunto di due coppie di remake (La Chienne e La Bête humaine di Renoir
rifatti da Lang con Scarlet Street e Human Desire) – caso unico nella storia
del cinema tra due autori di questa grandezza – L’essenza e l’esistenza mette
in scena un avvincente corpo a corpo tra due giganti della Settima Arte: come
in un esperimento di laboratorio, vediamo uno stesso, identico segmento del
romanzo di Zola (o di quello di La Fouchardière) girato prima da Jean Renoir, poi da
Fritz Lang. Con un finale allargamento di campo il libro arriva a proporre due
modelli d’autore: un paradigma Lang-Kubrick, e un paradigma Renoir-Rossellini,
una divaricazione che s’incunea nel paradosso di una forma espressiva – il
cinema – che implica una continuità tra testo e mondo sconosciuta alle altre
arti.
Simone Villani è dottore di ricerca presso il
Dipartimento omunicazione e Spettacolo dell’Università Roma Tre. Per Donzelli
ha pubblicato Il Decameron allo specchio. Il film di Pasolini come saggio
sull’opera di Boccaccio (2004).
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