venerdì 9 agosto 2013

Ninco Nanco deve morire. Viaggio nella storia e nella musica del Sud, di Eugenio Bennato, prefazione di Pino Aprile (Rubbettino). Intervento di Nunzio Festa





L’ospitata del maestro Eugenio Bennato all’ultima edizione della Festa dell’Arpa di Viggiano, visto che il maestro durante la sua esibizione ha parlato al pubblico similmente a come fa nel suo recentemente pubblicato libro “Ninco Nanco deve morire”, insieme all’ascolto d’alcuni brani di voci e interpreti della musica popolare omaggiata nelle pagine del maestro e portate nel mercato per esempio grazie a piccoli produttori che si chiamano di volta in volta Kurumuny e Lupo, il ricordo di qualche concerto dell’’altro’ maestro, il tricaricese Antonio Infantino, da Bennato citato tra l’altro solamente di sfuggita nel suo libro, e il sorriso di Carmine Donnola, autore di versi incontrati dal maestro e innanzitutto nostra conoscenza da anni, ci permette d’entrare nella pubblicazione con una certa, diciamo senza falsa modestia, dose di “competenza” - in più d’altre volte. Nella prima parte della memoria, che non è una biografia vera e propria ma il resoconto del percorso artistico compiuto fino a questo momento, leggiamo del Bennato che vuole fare chiarezza essenzialmente sulla nascita della canzone, famosissima oramai, “Brigante se more”, cantata e ricantata tanto in momenti di tempo libero tanto in azioni di protesta e simili; perché la “canzone del brigante” è inizialmente una risposta a una domanda di lavoro: Eugenio Bennato aveva il compito di scrivere per uno sceneggiato della Rai (tratto da un’opera dello scrittore Carlo Alianello – altro uomo contro -) una colonna sonora adeguata a descrivere musicalmente ambientazioni che sapevano appunto di brigantaggio e di riscatto sociale. Quindi Eugenio Bennato, prima praticamente d’inventare la Nuova Compagnia di Canto Popolare e poi, ancora col sodale Carlo D’Angiò, Musicanova, scrive di getto Brigante se more; tralasciando il successivo “giallo” legato all’opera, la canzone è importante perché, se pur non tutti possono arrivare a questa conclusione, è il brano che maggiormente spiega tutta l’arte di Bennato. La passione per il Sud e la voglia di contribuire al riscatto sociale del Meridione, l’amore per la musica, quella popolare prima di tutto e per la Storia dei vinti, l’estro di un compositore e interprete da sempre controcorrente. Poi le pagine, prima di fare il documentario scritto della musica popolare del Mezzogiorno attraverso volti e storie dei suoi amanti, da Alfio Antico a Matteo Salvatore, indugia sull’evoluzione che la diffusione di questo nostro genere ha ottenuto nel tempo. Facendo solo un esempio, E. Bennato ricorda che fino agli anni Settanta almeno, nel Salento i cantori, alla stregua di quel che è successo nel Gargano della Carpino degli altri anziani cantori, erano dimenticati dal presente. Fino a quanto nelle strade non hanno cominciato a ballare di nuovo le tammorre. Che per certi versi sono infine scese nel culto consumistico dell’adulazione vippettara. I brani dedicati da Bennato a Michelina De Cesare e Ninco Nanco, invece, non sono che la prova provata che il maestro partenopeo sceglie sempre di togliere dal cantone della dimenticanza imposta dal potere dominante, vicende di ribellione che dovrebbero entrare nei libri scolastici. Ché sappiam benissimo come funziona. In pratica a 150 e passa dell’Unificazione ancora cercano di convincerci che sotto Napoli regnavano solamente povertà assoluta e ignoranza estrema. Mentre al Settentrione si faceva la bella vita e i salotti intellettuali. Solo che prima dal Nord, dicono le carte, sono cominciate le migrazioni di massa. Ed è dopo l’Unità d’Italia che anche noi abbiamo preso in forze la valigia. Questo “Viaggio nella storia e nella musica del Sud” è un altro importante atto politico, oltre che “culturale”, da mettere accanto alle forme di testimonianza attiva destinate a ridarci coraggio. 

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