L’ospitata del maestro Eugenio
Bennato all’ultima edizione della Festa dell’Arpa di Viggiano, visto che il
maestro durante la sua esibizione ha parlato al pubblico similmente a come fa
nel suo recentemente pubblicato libro “Ninco Nanco deve morire”, insieme
all’ascolto d’alcuni brani di voci e interpreti della musica popolare omaggiata
nelle pagine del maestro e portate nel mercato per esempio grazie a piccoli
produttori che si chiamano di volta in volta Kurumuny e Lupo, il ricordo di
qualche concerto dell’’altro’ maestro, il tricaricese Antonio Infantino, da
Bennato citato tra l’altro solamente di sfuggita nel suo libro, e il sorriso di
Carmine Donnola, autore di versi incontrati dal maestro e innanzitutto nostra
conoscenza da anni, ci permette d’entrare nella pubblicazione con una certa,
diciamo senza falsa modestia, dose di “competenza” - in più d’altre volte.
Nella prima parte della memoria, che non è una biografia vera e propria ma il
resoconto del percorso artistico compiuto fino a questo momento, leggiamo del
Bennato che vuole fare chiarezza essenzialmente sulla nascita della canzone, famosissima
oramai, “Brigante se more”, cantata e ricantata tanto in momenti di tempo
libero tanto in azioni di protesta e simili; perché la “canzone del brigante” è
inizialmente una risposta a una domanda di lavoro: Eugenio Bennato aveva il
compito di scrivere per uno sceneggiato della Rai (tratto da un’opera dello
scrittore Carlo Alianello – altro uomo contro -) una colonna sonora adeguata a
descrivere musicalmente ambientazioni che sapevano appunto di brigantaggio e di
riscatto sociale. Quindi Eugenio Bennato, prima praticamente d’inventare la
Nuova Compagnia di Canto Popolare e poi, ancora col sodale Carlo D’Angiò,
Musicanova, scrive di getto Brigante se more; tralasciando il successivo
“giallo” legato all’opera, la canzone è importante perché, se pur non tutti
possono arrivare a questa conclusione, è il brano che maggiormente spiega tutta
l’arte di Bennato. La passione per il Sud e la voglia di contribuire al
riscatto sociale del Meridione, l’amore per la musica, quella popolare prima di
tutto e per la Storia dei vinti, l’estro di un compositore e interprete da
sempre controcorrente. Poi le pagine, prima di fare il documentario scritto
della musica popolare del Mezzogiorno attraverso volti e storie dei suoi
amanti, da Alfio Antico a Matteo Salvatore, indugia sull’evoluzione che la
diffusione di questo nostro genere ha ottenuto nel tempo. Facendo solo un
esempio, E. Bennato ricorda che fino agli anni Settanta almeno, nel Salento i
cantori, alla stregua di quel che è successo nel Gargano della Carpino degli altri
anziani cantori, erano dimenticati dal presente. Fino a quanto nelle strade non
hanno cominciato a ballare di nuovo le tammorre. Che per certi versi sono
infine scese nel culto consumistico dell’adulazione vippettara. I brani
dedicati da Bennato a Michelina De Cesare e Ninco Nanco, invece, non sono che
la prova provata che il maestro partenopeo sceglie sempre di togliere dal
cantone della dimenticanza imposta dal potere dominante, vicende di ribellione
che dovrebbero entrare nei libri scolastici. Ché sappiam benissimo come
funziona. In pratica a 150 e passa dell’Unificazione ancora cercano di
convincerci che sotto Napoli regnavano solamente povertà assoluta e ignoranza
estrema. Mentre al Settentrione si faceva la bella vita e i salotti
intellettuali. Solo che prima dal Nord, dicono le carte, sono cominciate le
migrazioni di massa. Ed è dopo l’Unità d’Italia che anche noi abbiamo preso in
forze la valigia. Questo “Viaggio nella storia e nella musica del Sud” è un
altro importante atto politico, oltre che “culturale”, da mettere accanto alle
forme di testimonianza attiva destinate a ridarci coraggio.
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