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martedì 17 dicembre 2019
lunedì 16 dicembre 2019
Il falò della follia di Federico Lenzi (I Quaderni del Bardo Edizioni per Amazon)
La banalità non merita
poesia e Federico Lenzi qui sembra rispondere, con convinta adesione, a quanto
Maurizio Cucchi andava affermando circa venti anni addietro. Si era appena
entrati nel nuovo millennio e, notando che «la poesia civile non è genere che goda
oggi di particolare fortuna», si diceva «convinto che il poeta abbia anche un
dovere di interpretazione e intervento, di critica e denuncia, rispetto alla
realtà del suo tempo». Possiamo parlare, dunque, di sistema nella riflessione
poetica di Federico Lenzi? Sarebbe troppo impegnativo e si caricherebbe di
eccesive responsabilità un neomaggiorenne. Con le inevitabili limitazioni
dovute alla sua giovane età e con l’ammirazione per le sue numerose e
piacevolmente disordinate frequentazioni culturali e letture, sembra di poter
intravedere – talvolta in maniera evidente, talaltra in forma accennata –
quanto Matteo Lefèvre, qualche anno fa, scrisse a proposito di una bella e
controversa voce statunitense, parlando di «una poesia... comprometida,
“impegnata”» e ponendo così in luce una «voce… libera e fresca, mai ingessata o
annunciata». È questa freschezza di verso, che consente di descrivere un
recinto di valori per la poesia di Federico Lenzi; un recinto ampio con diverse
possibilità di essere allargato, non un hortus conclusus che ha il sapore
dell’egoismo e della sufficienza, piuttosto che dell’organicità e della
necessità di contaminarsi. Del resto, sono passati appena cinque anni da quando
– già fisicamente fuori misura rispetto ai coetanei – Federico Lenzi usciva
dalla scuola media, a volte “solo e pensoso”, tirandosi dietro il trolley di
libri: immaginavo tanti libri e tanto spazio vuoto in quella valigia. Invece
no, con i libri c’erano anche tanti frammenti e lacerti di un discorso che in
queste pagine egli ha cercato di comporre in maniera più compiuta. È da credere
che siano rimasti nel trolley tanti altri frammenti da elaborare e per questi
ultimi il tempo della fioritura sembra già alle porte. (dalla prefazione di
Angelo Sconosciuto)
Federico Lenzi nasce a
Brindisi il 24 agosto nel 2001. Si dedica all’attività poetica a partire dai
quindici anni, trovandola unico sfogo per liberarsi da quelle prigioni che
alcuni chiamano adolescenza, altri prospettiva di vita. L’iniziale incanto della
parola fine a se stessa viene poi mutato in favore di un’opera che tenti
l’abbattimento di una società marcia, filo conduttore di questa raccolta. Da
sempre affascinato dallo studio delle Lettere, studia e vive a Bologna, dove
ancora si dedica all’Arte in attesa di idee più alteIn copertina:Burn it to the
ground by Christopher Burns on Unsplash Photo by Camila Quintero Franco on
Unsplash Photo: Photo by Elijah O’Donnell on Unsplash
Info link
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lunedì 2 dicembre 2019
domenica 1 dicembre 2019
Appello agli Editori Imperdonabili (Giulio Milani – Transeuropa Edizioni) e Appello agli Autori Imperdonabili (Alessandro Canzian – Samuele Editore)
Appello agli Editori
Imperdonabili (Giulio Milani – Transeuropa Edizioni)
Il movimento degli
Imperdonabili non è costituito solo da scrittori, poeti, semplici lettori che
si ribellano al controllo della specie letteraria protetta, ma anche da tutti
quegli editori che possono condividere con noi l’obiettivo di rompere gli equilibri
di sistema dell’oligopolio promozionale e distributivo vigente, ossia
l’«editore ombra» degli indipendenti, il cartello che ci trattiene fino al 65 %
dei profitti, ci costringe a tenere il prezzo dei libri ingiustamente elevato,
comprime i salari degli addetti ai lavori e i guadagni degli autori, uniforma
l’offerta libraria e culturale sulla base dei propri interessi, ovvero in
relazione a quanto ha stabilito che sia il tema o il genere o il titolo o il
modo di scrivere o l’autore di successo da inseguire.
Faccio una brevissima
premessa, anche in modo da conoscerci. Qualche anno fa ho ideato una collana di
coedizioni tra editori indipendenti e Feltrinelli, che si chiamava Indies: lo
scopo era, per gli indipendenti, sfruttare la forza promozionale e distributiva
del gruppo Feltrinelli/PDE, per Feltrinelli provare a sparigliare con qualche
autore scovato da chi è rimasto a fare ricerca letteraria in Italia, cioè i
piccoli e medi editori indipendenti. La collana pubblicò otto titoli in due
anni e chiuse i battenti perché i numeri che faceva erano gli stessi dei libri
prodotti da Feltrinelli. Per loro, la tiratura (e il venduto) equivalenti non
era la notizia che cercavano, ma per gli indipendenti sì: significava appunto
che la qualità della produzione si equivaleva, a parità di condizioni
promo-distributive.
Ora, cari colleghi, come
si può parlare di «repubblica delle lettere» e di «democrazia dei lettori», se
i lettori non sono a conoscenza che di una minima parte della produzione
libraria nazionale? In questo modo si fa un torto alla capacità del paese di
produrre un incremento della qualità media, lo sviluppo di un pensiero più
ampio e articolato, l’inclusione di voci, soggetti, temi e sensibilità diverse
che possano arricchire il dibattito letterario, culturale, artistico, politico
in senso ampio e dare vita, in prospettiva, a un nuovo vigore per il ruolo del
libro, dei lettori e dei letterati; invece viviamo in un paese in cui gli
editori e gli scrittori favoleggiano di copie che non hanno mai venduto, facendo
pubblicità ingannevole nei confronti dei lettori e una forma di concorrenza
sleale nei confronti degli altri editori, come nel caso di Edoardo Nesi e la
Nave di Teso rilevato dal Fatto quotidiano, oppure cercano di proiettare
un’immagine da star system che tuttavia non esiste, visto che il reddito delle
celebrità letterarie è per lo più aleatorio e nel paese viaggia una scarna
compagnia di giro fatta di premiazioni, fiere, festival, passaggi radiofonici e
tv dei soliti noti, che non incide minimamente nella crescita dell’interesse
per il libro e per la lettura.
In dissidenza da tutto
questo, e con l’idea di liberare le energie creative di una nazione ingessata
ormai da troppo tempo, propongo ai colleghi editori di ragionare su quanto
segue:
presentare una proposta
di legge per spezzare l’oligopolio promozionale e distributivo di pochi gruppi
editoriali, ossia archiviare il caso unico al mondo di società che promuovono e
distribuiscono anche le concorrenti, le taglieggiano sfavorendo l’affermazione di
case editrici e di librerie indipendenti, che chiudono di anno in anno;
costruire un network dal
basso, mettendo in rete i diversi blog e siti aderenti, come è stato già fatto
tra wildworld.cloud, pangea.it e satisfiction.it, e da lì sviluppare un pensiero
critico e una rete libera anche di produrre libri, premi, trasmissioni e
classifiche alternativi a quelli dell’oligopolio;
costituire una società di
scopo tra editori disallineati con il compito di realizzare una o più collane
dove sperimentare nuovi temi, nuovi autori, nuove tecniche di comunicazione,
promozione e distribuzione per rompere gli schemi prevalenti;
ragionare su un altro
aspetto strategico: bisogna stabilire un patto differente col lettore, fondato
sulla fiducia reciproca. Noi ci rivolgiamo a un lettore adulto, intelligente,
curioso, ironico, sulle cui capacità abbiamo piena fiducia. Riteniamo che
questo tipo di lettore sia maggioritario e che non legga perché gli scrittori e
gli editori dell’oligopolio non sono oggi all’altezza delle sue richieste e
necessità.
In pratica, ribaltiamo il
presupposto corrente per impostare il nostro progetto editoriale e culturale
alternativo allo status quo. Chi è interessato a prendere parte o a sostenere
il movimento, ce lo faccia sapere e condivida queste informazioni. Sui social,
cercate il nostro gruppo e prendete parte alle iniziative in programma come la
prima plenaria del movimento, che si terrà sabato 7 dicembre davanti alla fiera
Più Libri Più Liberi di Roma.
Appello agli Autori
Imperdonabili (Alessandro Canzian – Samuele Editore)
Da qualche giorno è nato
un’idea di aggregazione, di progetto, dal titolo Imperdonabili. L’idea nasce
dal licenziamento di Davide Brullo da Linkiesta, prende nome da un’idea di
Veronica Tomassini e vede come organizzatore principale Giulio Milani.
Nonostante ne abbia già parlato (qui) voglio tornare sull’argomento perché lo
considero estremamente interessante e proficuo. Perché, forse, capace di
ribaltare (almeno un po’) uno o due cortocircuiti culturali che da decenni
soffriamo in Italia.
Giulio Milani, collega e
scrittore, tratta il tema dal punto di vista editoriale. Io vorrei per un
attimo svestire i panni dell’Editore e proporre agli Autori un ragionamento sul
tema, su cosa sia effettivamente un Imperdonabile.
Ho parlato di cortocircuito
culturale non a caso. Perché ogni nuova iniziativa, ogni ribaltamento di
paradigma, non può che passare attraverso una critica alla culturale dominante.
Che esiste, volenti o nolenti, e che continuiamo ad alimentare.
L’Italia ha
inevitabilmente un trascorso culturale molto importante e ingombrante con cui
confrontarsi. E questo ha prodotto diverse opzioni e derive che sono sfociate,
complice anche un’interdisciplinarietà dei settori, in una più o meno falsa
democrazia delle lettere. Democrazia che punta al consenso e poco alla qualità.
Ma facciamo un passo
indietro: il termine Imperdonabili riporta alla mente il celebre libro di
Cristina Campo dove leggiamo:
Perché veramente ogni
errore umano, poetico, spirituale, non è, in essenza, se non disattenzione.
Chiedere a un uomo di non distrarsi mai, di sottrarre senza riposo all’equivoco
dell’immaginazione, alla pigrizia dell’abitudine, all’ipnosi del costume, la
facoltà di attenzione, è chiedergli di attuare la sua massima forma. È
chiedergli qualcosa di molto prossimo alla santità in un tempo che sembra
perseguire soltanto, con cieca furia e agghiacciante successo, il divorzio
totale della mente umana dalla propria facoltà di attenzione.
La Campo definisce
Imperdonabile colui che si dimostra attento, senza un batter ciglia, alle sole
realtà destinate al poeta: la gloria e lo scempio della creatura perfetta, la
definita ironia della polvere. Un ballo, una stella, una morte, un cespuglio di
sorbo.
E in effetti la cultura
odierna, che vuole e pretende da una parte il monopolio di alcune realtà,
potremmo quasi dire entità, privilegiate, e dall’altro una democraticizzazione
massima e spesso grottesca di tutto lo scrivibile, è una conseguenza di una
disattenzione che abbiamo sofferto.
Una disattenzione alla
cultura, alla scuola, all’Editoria, agli Autori. Ci siamo appoggiati sui nomi
più visibili non chiedendoci se fossero anche i più eccellenti. Abbiamo
criticato le lobby del passato finendo con il crearne delle nuove camminando
sul percorso prima criticato, accettandone le regole, riproponendole
pedissequamente.
La disattenzione è stata
dimenticare che la scrittura è un dono al mondo che ha sì delle regole
commerciali, inevitabili, ma che alla fine di tutto resta un lascito, un
messaggio in bottiglia per chi lo leggerà. Senza autore, senza consenso
immediato. La disattenzione è stata quella di spostare l’ago della bilancia dal
Libro all’Autore, trasformando il Libro in una richiesta d’elogio all’Autore.
Abbiamo fatto Cultura
così? No. Assolutamente no.
Abbiamo lasciato nascere
comportamenti gretti e ipocriti di Autori che pretendono dall’Editore fintanto
che l’Editore serve, per poi magari diffamarlo ai quattro venti. Abbiamo visto
Autori dichiarare pulizia e onestà d’intenti solo per poter essere illuminati dall’approvazione
e dal consenso popolare. Abbiamo visto Autori azzannarsi l’un l’altro per
mantenere una fragile e retorica visibilità.
Abbiamo fatto Cultura
così? No. Di nuovo assolutamente no.
Ed ecco allora che un
gruppo di Editori, di Scrittori, di Lettori, si sono messi insieme e si sono
fatti delle domande. Il processo di confronto è accesissimo e dura anche in
queste ore, e non è definitivo. Ma resta la domanda di partenza: come possiamo
quindi ribaltare un iter che vede da una parte i grandi interessi di pochi
attori del mercato editoriali e dall’altra i piccoli interessi di autori
interessati solo al proprio tornaconto personale?
Secondo me ricordando
alcune figure Imperdonabili della storia. Nel 2017 è morto Stanislav Petrov,
figura che considero imperdonabile per eccellenza. Il 26 settembre 1983 il
tenente colonnello Petrov, militare analista russo di guardia ai silos
americani, ricevette l’allarme di un attacco nucleare da parte degli Stati
Uniti, e dovette prendere una decisione, nonostante il sistema di controllo
confermasse senza ombra di dubbio che quello non era un attacco (si scoprirà
poi che era un’interferenza).
Se avesse attuato la
procedura prevista la Russia avrebbe, nel giro di pochissimi minuti,
contrattaccato con la propria forza nucleare innescando una Guerra che oggi non
vogliamo immaginare. Questo se avesse obbedito proprio come il 1 settembre
dello stesso anno un altro militare russo aveva fatto abbattendo per errore
(era stato considerato un caccia americano) un Jumbo Jet coreano uccidendo 269
persone. 269.
Un’azione imperdonabile
quella di Petrov che ha salvato la vita di milioni di persone, e che è stata
imperdonata. Finì infatti a morire in miseria senza alcun riconoscimento a
causa della politica dominante.
In tutto questo Petrov da
una grandissima lezione: è sempre più importante pensare al contesto, al mondo,
che a sé stessi. Se oggi tra gli Autori, i Poeti, gli Editori, ci fossero (nel
loro piccolo) più Petrov non saremmo qui a discutere di ribaltamento di
paradigma, di vera Cultura contro quella imperante e stagnante.
Petrov deve diventare, a
mio avviso, un esempio concreto di Imperdonabile per creare un vero e proprio
patto di unità e condivisione tra Scrittori, Editori e Lettori con, perché no,
anche la creazione di un progetto editoriale gratuito, onesto, teso alla
pubblicazione o ripubblicazione di testi fondamentali per la società e la scuola.
Magari a libera diffusione, ma con un’ipercompetenza a monte che costruisca,
dopo anni di stop, un’importante spinta in avanti nella coscienza e
consapevolezza culturale del nostro Paese.
Aiutando, magari, così a
produrre quei Grandi Autori di cui ancora sentiamo il bisogno.
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