Con Nome d’arte Doris
Brilli, Andrea Vitali inaugura una serie di romanzi che hanno per protagonista
uno dei personaggi più amati dal pubblico dei suoi lettori, il maresciallo
Ernesto Maccadò. La notte del 6 maggio 1928, i carabinieri di Porta Ticinese a
Milano fermano due persone per schiamazzi notturni e rissa. Uno è un
trentacinquenne, studente universitario provvisto di tesserino da giornalista.
Interrogato, snocciola una lista di conoscenze che arriva fino al direttore del
«Popolo d’Italia», quel Mussolini fratello di…, per accreditare la sua
versione, ovvero che è stato fatto oggetto di adescamento indesiderato. L’altra
è una bella ragazza che, naturalmente, sostiene il contrario. Ma amicizie per
farsi rispettare non ne ha, e soprattutto non ha con sé i documenti, per cui
devono crederle sulla parola circa l’identità e la provenienza: Desolina
Berilli, in arte, essendo cantante e ballerina, Doris Brilli, di Bellano. E
dunque, la mattina dopo, la ragazza viene scortata al paese natio. Che se ne
occupi il nuovo comandante, tale Ernesto Maccadò, giovane maresciallo di
origini calabresi giunto sulle sponde del lago di Como da pochi mesi. E lui, il
Maccadò, turbato per il clima infausto che ha spento l’allegria sul volto della
fresca sposa Maristella, coglie al volo l’occasione per fare il suo mestiere,
ignaro delle complicazioni e delle implicazioni che il caso Doris Brilli è
potenzialmente in grado di scatenare. Con Nome d’arte Doris Brilli, Andrea
Vitali inaugura una serie di romanzi che hanno per protagonista uno dei personaggi
più amati dal pubblico dei suoi lettori, il maresciallo Ernesto Maccadò,
presente nelle storie di maggior successo come La signorina Tecla Manzi, Olive
comprese, La mamma del sole, Galeotto fu il collier, Quattro sberle benedette,
Le belle Cece, A cantare fu il cane, raccontando i suoi esordi alla caserma di
Bellano, e il suo faticoso acclimatarsi, non solo per via del tempo
meteorologico.
mercoledì 28 febbraio 2018
martedì 27 febbraio 2018
Il fondo della bottiglia di Georges Simenon. Traduttore: F. Scala (Adelphi)
«In fondo P.M. non
conosceva per niente il fratello. A parte qualche vago ricordo d’infanzia, lo
conosceva meno di un estraneo appena incontrato. A Emily Donald chiedeva
regolarmente soldi, no| Nelle sue tasche dovevano essere finiti tutti i
risparmi della sorella. Di sicuro la impietosiva con qualche frase ben
congegnata, le parlava di Mildred, dei bambini. Probabilmente aveva provato a
batter cassa anche dal padre. «Quelli come lui, che parlano con compiacimento
della propria sfortuna e della propria onestà, credono che tutto gli sia
dovuto».
Accade molto di rado
che Simenon segnali che i personaggi e gli eventi da lui narrati sono
«puramente immaginari e privi di qualsiasi riferimento a persone viventi o
defunte». Per capire come mai in questo caso ne abbia sentito il bisogno
occorre tornare al 1945, quando al fratello Christian, condannato a morte in
contumacia per aver coadiuvato le SS in una spedizione punitiva che aveva fatto
ventisette vittime, Georges aveva consigliato di arruolarsi nella Legione
straniera: un modo per scomparire, certo, e per riscattarsi – ma anche,
cambiando cognome, per non compromettere lo scrittore ormai celebre con una
parentela imbarazzante. «È colpa tua! Lo hai ucciso tu!» si sentì rinfacciare
dalla madre allorché, ai primi di gennaio del 1948, lo stesso Georges le
comunicò la morte, nel Tonchino, del figlio preferito. Nei mesi immediatamente
successivi, quasi volesse espellere i propri fantasmi, Simenon scrisse due dei
suoi romanzi più neri e potenti: La neve era sporca e Il fondo della bottiglia.
In quest'ultimo, uno stimabile avvocato, che è riuscito, partendo dal basso, a
conquistarsi un posto nella ristretta comunità dei notabili di Nogales, al
confine tra gli Stati Uniti e il Messico, vede vacillare tutte le sue certezze
quando gli compare davanti, evaso dal carcere in cui scontava una condanna per
il tentato omicidio di un poliziotto, il fratello minore – quello debole,
irresponsabile, sfortunato, eppure dotato di un inquietante potere di seduzione
–, che gli chiede di aiutarlo a passare la frontiera. Nel piccolo mondo
costituito dai ricchi proprietari dei ranch l'arrivo dell'estraneo scatena una
sorta di psicodramma, che culminerà in una vera e propria caccia all'uomo,
mentre, fra odio e amore, rancori e sensi di colpa, sbronze e scazzottate, si
consuma la resa dei conti tra i due fratelli.
lunedì 26 febbraio 2018
Lettere da una Taranta di Raffaele Gorgoni ospiti della Società Dante Alighieri di Brindisi
La Società Dante
Alighieri organizza la presentazione del volume Lettere da una Taranta di
Raffaele Gorgoni ( I Quaderni del Bardo Edizioni di Stefano Donno) presso il
Wine Bar Susumaniello Via Tarantafilo, 19 Brindisi. La data è Martedì 27
febbraio 2018 e si comincia alle ore 18,00
Dialoga con l’autore
l’editore Stefano Donno
Originalissimo il testo
in cui dopo tante pizziche e notti melpignanesi è proprio la tanto "
bistrattata, odiata e amata, adulata e disprezzata, incensata e criticata,
vezzeggiata e maltrattata" Taranta ad esserne la protagonista. È proprio
lei la Lycosa Tarantola ad infrangere il velo di omertà e dire tutto quello che
pensa del Salento, dei politici, della notte della Taranta e delle tarantate. E
lo fa scrivendo delle lettere ad un essere umano di cui probabilmente non
conosce neanche il nome, ma che è l'interlocutore più adatto ad accogliere le
sue opinioni e i suoi sfoghi confidenziali, finalmente libera dalle catene di
tradizioni e grottesche maldicenze.Le lettere sono precedute da uno sfogo
vocale che l'autore traspone in dialetto e poi parte il racconto storico che
non lascia spazio alla noia. Tutto è condotto con accuratezza di dettagli e con
grande semplicità, catturando il lettore ansioso di scoprire aneddoti ed
episodi storici, e quasi “mitologici” un po' forse dimenticati che si sono
succeduti negli stessi vent'anni della notte melpignanese e che riaffiorano
nella memoria con grande godimento.
Il contenuto
all'interno delle lettere è quasi sfacciato, perché la Taranta si toglie
finalmente tanti" sassolini nelle scarpe" (proprio come il titolo
della collana editoriale diretta dallo stesso Gorgoni) rivelando cose viste
entrando in quei luoghi dove gli umani non avevano accesso. Lo sfogo di una
taranta non può certo incorrere in accuse partitiche e per questa sua immunità
è libera di raccontarci fatti ai più sconosciuti. Dalle prime forme di
tarantismo alla sua quasi sparizione con le prime emigrazioni verso il nord
anche da parte delle donne,con le assunzioni nelle fabbriche quando il morso
che provocava convulsioni sincopate viene sostituito dal valium o da una seduta
dal parrucchiere. La scrittura ha il ritmo sincopato del tamburello ancestrale,
e chi legge è preso nel vortice delle notizie e degli episodi raccontati.
Parallelamente ai vent'anni della notte della Taranta nulla viene dimenticato.
La politica con eventi non sempre edificabili, gli antropologi, gli scienziati,
gli anni cinquanta, la televisione, il muro di Berlino, l'Ilva, la democrazia,
la prima Repubblica, i vari politici che nel Salento hanno fatto il buono e il
cattivo tempo, i flussi migratori e l 'incapacità di trarne beneficio derivante
da altre culture. Non vengono tralasciati neanche Ovidio e le sue Metamorfosi,
Plutarco, l'Odissea , l'Iliade e Dante. La Taranta nelle sue lettere non dimentica
di criticare personaggi che si sono mossi nell'ambito della kermesse di
Melpignano, ma fa anche tanti elogi a chi aveva capito sin dall' inizio il
senso vero di quella manifestazione. Chi pensava, avendo in mano il libro, di
trovarsi dinanzi ad una favola moderna avrà la piacevole sorpresa, leggendolo,
di avere in mano un pezzo di storia ironicamente descritta dall'autore con la
sua solita penna insolente.
iQdB edizioni di
Stefano Donno (i Quaderni del Bardo Edizioni di Stefano Donno
Sede Legale e Redazione:
Via S. Simone 74 - 73107 Sannicola (LE)
Redazione - Mauro
Marino
Segreteria
Organizzativa – Dott.ssa Emanuela Boccassini
Public Relations –
Raffaele Santoro
Social Media
Communications - Anastasia Leo, Ludovica Leo
venerdì 23 febbraio 2018
giovedì 22 febbraio 2018
"Lampi di verità" di Donato Di Poce ( I Quaderni del Bardo Edizioni di Stefano Donno) in Tour nel Salento
23
febbraio 2018 ore 18:30, Libreria Volta la Carta, Calimera, Le, via
Costantinopoli 35
Dialogheranno con
l'autore: Nicola Vacca (direttore collana "Z"), Stefano Donno
(editore), Alessandro Vergari (autore della prefazione a Lampi di verità),
Francesco Aprile (Utsanga.it), Giovanna Rosato (Biblioteca Gino Rizzo di
Cavallino). L'incontro di Calimera è
promosso da Utsanga.it e Giovanna Rosato (Biblioteca Gino Rizzo, Cavallino, Le)
in collaborazione con iQdB Edizioni e Libreria Volta la Carta.
24
febbraio 2018 ore 19,30, Fondo Verri, Lecce, via Santa Maria del Paradiso, Lecce
Dialogheranno con
l'autore: Nicola Vacca (direttore collana "Z"), Stefano Donno
(editore), Alessandro Vergari (autore della prefazione a Lampi di verità),
Grazia Piscopo (Presidente Associazione Thorah) Mauro Marino (Fondo Verri di
Lecce) . L'incontro di Lecce è promosso da
Fondo Verri, Associazione Thorah
Donato Di Poce, (Nato a
Sora - FR - nel 1958 ma residente dal 1982 a Milano ). Poeta, Critico d’Arte,
Scrittore di Aforismi, Fotografo. Artista poliedrico ed ironico ma dotato di
grande umanità, si è imposto all’attenzione del pubblico e della critica con la
pubblicazione di una collana di 5 portfolio dal titolo: TACCUINO BERLINESE
-East Side Gallery , Félix Fénéon Edizioni, Ruvo di Puglia (BA), 2009 dedicata
al muro di Berlino. In un suo celebre aforisma ha scritto: “Il Poeta vede
l'invisibile/Il Fotografo fornisce le prove”.
Nicola Vacca - è nato a
Gioia del Colle, nel 1963, laureato in giurisprudenza. È scrittore,
opinionista, critico letterario, collabora alle pagine culturali di quotidiani
e riviste. È redattore della rivista «Satisfiction». Ha pubblicato: Nel bene e
nel male (1994), Frutto della passione (2000), La grazia di un pensiero (2002),
Serena musica segreta (2003), Civiltà delle anime (2004), Incursioni
nell’apparenza (2006), Ti ho dato tutte le stagioni (2007), Frecce e pugnali
(2008), Esperienza degli affanni (2009), con Carlo Gambescia il pamphlet A
destra per caso (2010), Serena felicità nell’istante (2010), Almeno un grammo
di salvezza (2011), Mattanza dell’incanto (2013), Sguardi dal Novecento (2014),
Luce nera (2015), Vite colme di versi. Ventidue poeti dal Novecento (2016),
Commedia ubriaca (2017).
Il Cane. Una storia sociale dall'Antichità al Medioevo di Marco Iuffrida. In libreria per Odoya dal 1 marzo 2018
“Poiché il cane è, fra
gli animali, l’aiuto più veloce per i falchi che predano e dal momento che una
sola tipologia di cani è più veloce di tutte le altre – il levriero o il veltro
– conviene che il cane da supporto al rapace sia di questo tipo”. Scriveva
Federico II di Svevia nel suo trattatello De Arte venandi cum avibus intorno al
1260. Ma le nobili frequentazioni dei nostri amici a quattro zampe sono
iniziate ben prima. Basti pensare che in una tomba datata 2650 a.C., rinvenuta
in quel di Matelica, si è trovato il cane levrieroide del defunto seppellito
come ausilio, anche nell’aldilà, per l’inseparabile padrone. Non è forse vero
che Anubi, nell’antico Egitto, già benediceva gli iniziati con le sue fattezze
per metà canine? Marco Iuffrida, forte della sua conoscenza dei testi
antichi/medievali, acquisita anche alla Biblioteca Apostolica Vaticana, dedica
questo svelto e dotto trattato alle origini di un rapporto che rimane da secoli
invariato. L’utilitarismo che legava uomo e cane quando nelle corti la caccia
era uno dei passatempi preferiti non impediva di aggiungere altre connotazioni
alla frequentazione dell’animale. Carlo Magno era un fiero possessore di cani e
vietò ai chierici di possederne in quanto riteneva che la vicinanza con
l’animale fosse un lusso e una distrazione che non si addiceva agli uomini di
Dio. Si pensi poi agli Scaligeri, così affezionati all’idea di forza e alle
capacità intrinseche canine ⎼
per fare un altro esempio era molto apprezzata la capacità di cacciare i lupi ⎼ che vollero attribuire
ai capi casata i noti nomi di Cangrande, Mastino, Cansignorio. Non erano da
meno i Gonzaga, nella cui Camera degli sposi campeggiano i cani di Ludovico
III, dipinti dal Mantegna. E se la tassonomia delle varie tipologie di cani da
caccia aiutava a scegliere falconieri e cacciatori da epoche più remote,
Michelangelo Biondo, nel 1544 (nel De
canibus e Venatione Libellus) canonizza un altro canide che ben conosciamo: “Il
cagnetto di lusso (De caniculo delicioso): piccolo, della lunghezza di un piede
o mezzo; quando è cresciuto è più gradito se è della dimensione di un topo”.
Marco Iuffrida, storico, dottore di ricerca in
Storia medievale, specializzato in biblioteconomia alla Biblioteca Apostolica
Vaticana, studia da anni la storia sociale. Collabora con varie riviste e
partecipa attivamente al dibattito internazionale. Diverse le sue pubblicazioni
d’ambito medievistico; sul tema della simbologia animale ha scritto il saggio
Cani e uomini. Una relazione nella letteratura italiana del Medioevo (2016). È
inoltre l’autore del romanzo storico InChiostro (2017).
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